Studio di Psicologia e Psicoterapia "Ecotono"

- Dr. Andrea Bramucci

Variazioni sul tema ecologico

“…quando l’ultima giraffa, l’ultimo orso bianco muore, muore anche la prima giraffa alla quale Adamo ha dato il nome, quella imbarcata sull’Arca. La sua fine segna l’estinzione di un seme eterno, una divinità uccisa, un deicidio”. J. Hillman, Animali del sogno.

Fra undici anni, secondo recenti stime, la loxodonta africana, cioè l’elefante africano, il più grosso mammifero terrestre è destinato a diventare leggendario come il ‘dodo’ dell’Australia. Per altre specie animali forse accadrà anche prima.

E’ già accaduto che intere regioni del pianeta Terra siano da ridisegnare completamente sulle carte geografiche: il prosciugamento del lago di Aral, l’estendersi del deserto del Sahara, la morte radioattiva intorno a Cernobyl, solo per citare alcuni esempi.

L’apprendista stregone non conosce la formula per arrestare il meccanismo da lui stesso innescato.

L’apprendista stregone ha perduto la chiave per fermare il bulldozer che avanza e affonda i suoi denti metallici nella morbida terra tropicale, offendendo e sventrando la maestosa foresta amazzonica.

Che spazio nelle nostre riflessioni occupano questi fenomeni di distruzione epocale?

Come terapeuti della Gestalt diamo grande importanza all’interazione tra individuo e ambiente, quest’ultimo inteso in tutte le sue accezioni, e quindi come rientrano questi fenomeni nel nostro concetto di Ambiente/Environment/Umwelt cioè di ciò che ci sta intorno, che ci abbraccia, che ci sostiene?

Quale sostegno ambientale può derivare dalla vista di un lago inquinato o da un profondo respiro di aria intrisa di monossido di carbonio?

Quale consapevolezza abbiamo delle problematiche ecologiche: il buco nell’ozono, l’effetto serra, il cambiamento del clima mondiale, l’invasione dei rifiuti?

Quali emozioni sentiamo percorrere il nostro corpo alla notizia di elefanti uccisi per strappargli le preziose zanne o il soffocato abbattimento di inermi piccoli di foca, uccisi e scuoiati sul posto per sottrargli la morbida pelliccia; o se volete un esempio meno drammatico la parziale scomparsa della eterea lucciola, causa inquinamento atmosferico, che rischiara le notti di giugno?

Quante e quali specie animali ci saranno nella prossima arca?

Quali segnali stanno giungendo dal mondo non-umano, cosa ci vogliono dire?

La natura non più mitica, non più terribile e salvifica allo stesso tempo è ormai ridotta a mero accessorio, utensile della società bianca occidentale.

I giganti che sostengono il cielo, gli spiriti, gli dei delle microcolture amazzoniche si sono trasformati in anonimi parquets nelle nostre case.

La distruzione di forme naturali non controllabili, non coercibili e quindi non assoggettabili è il segno più evidente di questi ultimi anni. La riproduzione di ‘sosia’ di ‘doppi’ di società umane e la espulsione reale o fantastica di tutto ciò che è altro da me (o non io) ci sta portando ad una omologazione della natura e della società umana contro la diversità naturale. Il mondo è sempre più umano, troppo umano, un mondo solo per l’Homo Sapiens. Quale malessere c’è dietro questo sintomo?

Quale angoscia si cela dietro il rifiuto dell’animalità, della nostra animalità, dei nostri istinti?

Ora, quale può essere il contributo della Gestalt-therapy alla riduzione di questa distruttività umana nei confronti della natura?

La crisi ambientale entra nelle asettiche stanze del terapeuta e si manifesta nel rapporto con il paziente. In che modo siamo disposti a farci ‘contaminare’ da questa situazione? (sembra che sia proprio la contaminazione – di popoli, di malattie, di inquinamento – la nuova dimensione planetaria).

Certamente un collegamento, forse lontano, c’è tra la proliferazione di quelle patologie che contattiamo sempre più spesso: border-line, tossicomani,patologie narcisistiche etc, caratterizzate dalla ‘crisi della presenza’ e dall’assenza di contenitori fantasmatici, e la perdita, o meglio il tramonto, di quella grande ‘riserva immaginaria’ costituita dalle forme naturali (paesaggi, foreste, animali, oceani, etc.) cioè del grande contenitore Madre-Terra. E d’altronde nella polarità opposta la ricerca sfrenata di salutismo, di benessere a tutti i costi, di diete naturiste, di macrobiotiche, di salvavita o salvacondotti per il futuro, conferma una mancanza di contatto reale con la parte primordiale, quella che vuole sentirsi animale, appartenente alla natura.

A tutte le domande da me poste non c’è una risposta certa, sicura, razionale, confortante. Purtroppo molte sono state e saranno vuoi le perdite genetiche (sul tema della biodiversità ecco un piccolo esempio: nel 1901 in Italia si coltivavano 50 specie di mele, oggi solamente 3) vuoi quelle naturali in genere, ma dalla nuova consapevolezza dell’attuale rapporto tra uomo e natura si possono gettare le basi per un diverso approccio. In questa ottica va inquadrato il contributo della Gestalt che condivide con l’ecologia molte idee comuni ed un simile sguardo sulla realtà.

 

Al confine di contatto tra Gestalt ed ecologia

 

“Imparare a rendere qualcosa personale ed a tirar fuori il senso dai temi di attualità che sembrano grezzi è una delle maggiori sfide, non solo per quelli del movimento di crescita personale ma per tutta la gente che cerca di comprendere le comunicazioni”. E., M. Polster, Terapia della Gestalt integrata.

La natura e le sue forme sono entrate a far parte dei valori da difendere nella nostra società occidentale. Il progressivo affermarsi di un’etica ecologista e la nascita di nuovi soggetti etici (le generazioni future, gli animali tramite il movimento di liberazione degli animali, e tutte le altre specie in genere tramite il concetto di biodiversità) hanno allargato i confini di valori di molte persone. Ciò permette di domandarci se il nostro esserci nel mondo sia ‘ecologicamente compatibile’ e possa creare un nuovo ‘adattamento creativo’ adeguato alle mutate condizioni del pianeta. Proprio nella ricerca di questo adattamento creativo cercherò dei punti di contatto tra l’ecologia e la terapia della Gestalt. Il tentativo qui proposto è quello di superare la mera interpretazione dei fatti (lettura diagnostica della distruttività umana sulla natura) per giungere ad un mettersi in gioco e ad un ‘contaminarsi’ con problematiche che normalmente esulano dalla psicoterapia.

Percorrerò così un sentiero che partendo dall’ecologia, cioè dall’ambiente, porti all’uomo e dall’uomo di nuovo al rapporto con la natura (interna ed esterna). L’ecologia, d’altronde, riveste questa funzione di conoscenza-ponte infatti integra in sé tanti altri aspetti: da quelli fisici, chimici e biologici a quelli sociali, economici e politici per giungere ad aspetti psicologici, antropologici, mitici.

Il sentiero percorso, inoltre, è anche un sentiero personale: la metafora della mia storia, il passaggio dallo studio della natura all’interesse per l’uomo senza dimenticare la prima, la storia della mia formazione e forse di qualcosa d’altro che ancora devo scoprire.

Il tipo di approccio, sia in Gestalt che in ecologia, al ‘materiale’ di indagine è simile. Le due discipline procedono con un metodo di tipo fenomenologico e fenomenico senza cercare di applicare alla realtà teorie preformate: “per la terapia della Gestalt, la superficie dell’esistenza è il piano che, preordinatamente, va focalizzato, l’essenza vera dell’uomo psicologico. E’ in questa superficie che esiste la consapevolezza, la quale dà orientamento e significato alla vita”. E., M. Polster, op. cit.

La ‘superficie dell’esistenza’: la nostra vita sulla Terra è possibile per pochi decimetri a volte centimetri di humus pieno di vita!

L’approccio olistico permette il passaggio da un livello all’altro (in Gestalt dal livello cognitivo, per esempio, a quello corporeo – in ecologia dalla nicchia ecologica al suo ecosistema) e da qualsiasi livello si parte non ha una grossa importanza perché si arriva comunque ad un approccio integrato tramite gli altri livelli: di modo che il tutto è sempre diverso e altro rispetto alla mera somma delle parti.

L’olismo, la globalità, non favoriscono l’instaurarsi di un canale preferenziale di comunicazione; in Gestalt la testa non conta più del corpo e la razionalità non ha più valore delle emozioni. Questo approccio alla realtà sconferma la relazione causa-effetto sulla quale ancora si basa il nostro rapporto con la natura, preferendogli una relazione circolare che potrebbe essere visualizzata tramite una spirale.

La dimensione letterale con la realtà percepita ha portato ad una esclusione di tutti gli altri livelli comunque esistenti. Per esempio la forzata esclusione dell’aspetto metaforico dalle pratiche scientifiche, dall’economia, dalla vita di tutti i giorni, ha fatto sì che si perdesse una ricchezza e una varietà di contatti con il mondo percepito che supera la limitante causa efficiente.

La dimensione letterale, lineare, razionale, apollinea nel rapporto uomo-natura (come in quello uomo-uomo) perde la partecipazione mistica, il mistero, la tragedia (vedi il nostro rapporto col cibo così distante dall’animale da cui proviene che ormai non viene più percepito come tale) del nostro vivere.

Il livello metaforico ristabilisce profondità e spessore ad un rapporto reso spezzettato dalla letteralità. La metafora, il senso secondo, l’integrazione di altre varianti rendono complesso e ambiguo lo scontato rapporto con la natura. L’ambiguità, esclusa dalla razionalità economica e dal progresso scientifico, rientra in gioco come possibilità richiamata dalla crisi ambientale. Si ripropone così il tragico dilemma, l’impasse, la contraddizione fondamentale, fin dalla disputa tra Eraclito e Parmenide: l’uomo fa parte della natura ma l’uomo è diverso dalla natura. Per gli ecologisti “la natura non è un giardino piantato per l’uomo” (A. Gorz, Ecologie et Liberté), esistono limiti di sfruttamento non superabili: ci sono segnali che la soglia di sopportabilità delle “polluzioni” umane è molto vicina.

Il rigido confine ora esistente tra società umana e forme naturali nasconde forse la paura di essere sopraffatti, confusi, ingoiati nei meandri naturali. “…il contatto avviene al confine in cui permane un senso di separazione, di modo che non c’è pericolo che l’unione sopraffaccia la persona”. E., M. Polster, op. cit.

A quale giusta distanza porsi nei confronti della natura? Come non rimanere immobilizzati, abbagliati dalla sua bellezza e dalla sua potenza? La cacciata dal Paradiso Terrestre e la fine di un atteggiamento confluente con la madre-natura ha prodotto l’attuale situazione opposta di massima distanza. Come reintegrare quegli aspetti umani esclusi e proiettati sulla natura? Come riscoprire e valorizzare l’animalità, gli istinti e integrarli nel processo di crescita?

 

La terapia possibile

 

“L’organismo-ambiente nell’uomo ha, naturalmente, un aspetto sociale oltre che fisico. Perciò in ogni scienza umana, quale la fisiologia dell’uomo, la psicologia o la psicoterapia, dobbiamo sempre tenere presente un campo in cui alcuni fattori socio-culturali, animali e fisici si trovano ad interagire tra loro”. Perls, Hefferline, Goodman, Terapia della Gestalt.
Come la malattia fa riappropriare l’individuo del proprio corpo, così la ‘crisi ambientale’ ci fa ‘sentire’ di nuovo la nostra appartenenza agli ecosistemi naturali. Ritorna così l’ambiguità: amare e tradire la natura; Da un lato “la natura non è sacra. La vita umana sulla terra è precaria e per espandersi deve necessariamente modificare certi equilibri dell’ecosistema”. A. Gorz, op. cit.

Dall’altro le attuali modificazioni dell’ambiente stanno distruggendo le basi stesse (aria, acqua, terra) del nostro ‘essere gettati’ qui sul pianeta Terra.

La sfida è appunto questa: stare dentro la contraddizione, ‘coesistere’ tra queste due polarità così potenti entrambe. Ma noi siamo natura! (dai macro ai microsistemi). L’ambiguità o “il dilemma esistenziale umano” (A. Maslow) tra un essere parte della natura ed un manipolare la stessa, è ben celata all’interno delle classiche e così immediate dicotomie: mente-corpo, natura-cultura, fenomeno-noumeno, Dio-uomo.

Come mai ‘la Verità’ ha sempre bisogno di esclusioni?

E’ ormai da molto tempo che in ‘figura’ è fissato un tipo razionale di uomo e un pensiero logico che ha relegato sullo ‘sfondo’ altre potenzialità: immaginazione, fantasia, metafora, gioco e… aggiungete Voi quant’altro. Stare dentro l’ambiguità, accettare la contraddizione significa prendere consapevolezza di quegli aspetti del Sé scartati ed esclusi fin dall’infanzia dagli atteggiamenti nevrotici di genitori castranti.

Prendere ‘contatto’ con il corpo (proposto nella nostra società o come corpo-cadavere o come corpo-superficie oppure corpo-veicolo), vivere la sessualità, le emozioni non espresse e forse non conosciute, visti i modelli sociali normativi introiettati in precedenza.

Se la ‘relazione oggettuale’ ha sostituito la ‘relazione affettiva’ con il mondo, con le forme naturali, è ‘compito’ di una psicoterapia non proiettiva far riscoprire a terapeuti e pazienti la possibilità di strade che riportano ‘in figura’ l’animalità dell’uomo.

Eccoci, quindi, nel setting terapeutico e nella relazione ‘paziente-terapeuta’. Qui si manifesta la ‘natura’, il ‘non poter essere altro’ del paziente. Come accoglie il terapeuta i bisogni espressivi del paziente?

Quali strade vuole percorrere insieme a lui e quali, invece, ostacola, preclude, interrompe? Quali ‘diversità’ il terapeuta è disposto ad accettare? Quale concetto di salute viene proiettato sul paziente?

La salute non è assenza di malattia (che cosa vuol dire essere sani se in realtà si è deprivati di tante ricchezze personali, sociali, naturali), ma è un processo, una ricerca di benessere che non può escludere bisogni fondamentali dell’organismo umano.

In questo senso la terapia della Gestalt è orientata a considerare la salute non come uno stato acquisito ma un processo di crescita non omologato e non preordinato.

“Obiettivo finale della terapia non è quello di uniformare e normalizzare il paziente e rendere lineare la relazione terapeutica annullando le polarità esistenti, illudendosi di annullare l’irrazionale, ma quello di rendere possibile l’incontro con il ‘diverso’, sia esso interno o esterno a noi”. M. Menditto, F. Rametta, Le possibilità del sé.

Come le forme naturali non sono a noi riconducibili, il loro essere è sempre ‘altro’, così l’incontro con il ‘tu’ nella relazione terapeutica non è a me assimilabile (pur essendoci un territorio in comune).

La diversità umana negata, omologata agli schemi della società occidentale (vedi la inesorabile sparizione delle civiltà primitive) può essere salvaguardata e sviluppata negli studi di psicoterapia. Le diversità che contattiamo ci danno modo di far esprimere creatività e fantasia.

Creatività, fantasia, immaginazione ci trasportano altrove (metaforein) in luoghi non conosciuti, nei luoghi dell’infanzia, della ‘scoperta’, forse verso Atlantide. L’occupazione fisica, ‘scientifica’, umana dei luoghi sognati e immaginati dove la Fantasia può spaziare liberamente, sembra essere un processo irreversibile. L’assimilazione degli ultimi territori estranei e alieni alla presenza dove regna la fiaba, il mito, la paura, ci priva di quel fertile humus, di quella ‘riserva immaginaria’ dalla quale per secoli tutti i popoli hanno attinto costellazioni di miti e di sogni, dove si è espresso l’inconscio collettivo.

Quale folletto, elfo o ‘briccone divino’ può ormai nascondersi tra i tronchi abbattuti della foresta? Quale paurosa ‘ombra’ è scomparsa con la accecante luce del sole equatoriale? La ‘perdita’ di questi luoghi misteriosi, spaventosi, ‘sacri’ significa l’appiattimento della nostra relazione con il mondo.

Di nuovo dal mondo esterno a quello interno (ma c’è poi tanta differenza?) dalla relazione con la natura al setting terapeutico.

“Gettare luce su tutto quello che si incontra ed annullare le inevitabili ombre e, con esse, le significative sfumature della relazione, ottiene il più delle volte l’effetto contrario a quello desiderato o desiderabile”. M. Menditto, F. Rametta, op. cit.

Stare dentro l’ambiguità della relazione terapeutica è allora non tentare di svelare i segreti del paziente, ma lasciargli rinfrescanti ‘zone d’ombra’ dove può ritrovare energie e senso di appartenenza.

Il ‘compito della psicoterapia’ è quello di non creare nuove norme, altri introietti, un moralismo ‘terapeutico’, ma di liberare, salvaguardare la creatività, la fantasia valorizzando la ‘scoperta’ di noi stessi, la scoperta di altri linguaggi: i sentimenti, il corpo, i sogni.

E se la Gestalt-therapy può essere definita un “approccio estetico alla vita” (M.V. Miller), in ciò si incontra con la ‘danza che crea’ delle forme naturali: “il regno animale è, prima di tutto, un’ostensione estetica, una fantasia in mostra di colori e canzoni, di modi di incedere e di fughe – una manifestazione estetica che è una forza primordiale e istintiva inscritta nel plasma”. J. Hillman, Animali del sogno.

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

  1. Gorz, Ecologie et liberté, Parigi 1977.
  2. Hillman, Animali del sogno, Milano 1991.
  3. Hillman, Edipo rivisitato, Milano 1992.
  4. Menditto, F. Rametta, Le possibilità del sé, Roma 1991.
  5. Perls, R. Hefferline, P. Goodman, Terapia della Gestalt, Roma 1971.

E., M. Polster, Terapia della Gestalt integrata, Milano 1986.

  1. Rametta, La ‘Gestalt della propria storia’ nel processo di integrazione con l’ambiente, Roma, 1989.
  2. Rank, Il doppio, Milano 1987.
  3. Bramucci, Ecologia: da scienza empirica a normativa etica, Urbino 1986.
    Lezioni teorico-pratiche della Scuola di Formazione in Psicoterapia della Gestalt, presso la Società italiana Gestalt, condotta da Maria Menditto e Filippo Rametta;

 

Pubblicato su “STUDI URBINATI”.

 

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